DISPOSTI
gli arresti domiciliari per il 46enne Antonio Talesco, residente a
Santi
Cosma e Damiano arrestato lo scorso 25 settembre insieme ad altre quattro
persone
accusate di promettere posti di lavoro nel settore marittimo in cambio di
denaro.
Nei giorni scorsi,
assistito
dall’avvocato Gaetano Netani, la sua posizione è stata discussa di fronte
alla
terza sezione del Tribunale del Riesame a cui è
seguita
la decisione di una
misura
meno afflittiva. Tra
le
altre nei suoi confronti è
caduta
l’aggravante di aver
agito
verso persone inconsapevoli. Inoltre, ha opposto la difesa, i reati contestati,
alcuni solo tentati, non
prevedono
l’a p pl i c a z io n e
della
misura della custodia
cautelare
in carcere. Analoga discussione al Tribunale
del
Riesame, sempre nei
giorni
scorsi, si era svolta
anche
per il 40enne Salvatore Talesco, residente a
Minturno
e fratello di Antonio, attualmente in carcere a
Santa
Maria Capua Vetere
per
i reati di sequestro di
persona
a scopo di rapina e
tentata
violenza sessuale
nei
confronti di una prostituta ucraina. Per il comandante Tramontano, come si
faceva
chiamare dalle sue
vittime,
il Tribunale ha annullato quindici dei diciassette capi d’imp uta zio ne
confermando
la misura della custodia in carcere, da cui
peraltro
non sarebbe stato
dimesso
in forza dell’altra
ordinanza
a suo carico che
verrà
discussa nei prossimi
giorni
davanti al Riesame di
Napoli.
Nell’inchiesta condotta dalla Capitaneria di
Porto,
personale coadiuvato
nelle
indagini dal Nucleo
Speciale
d’Intervento del
Comando
Generale, furono
arrestate
altre tre persone.
Attualmente
le indagini del
sostituto
procuratore Cristina Pigozzo stanno approfondendo altri aspetti di una
vicenda
che ha visto come
vittime
almeno dieci persone. E altre hanno presentato
denuncia
dopo gli arresti.
Le
modalità di azione del
gruppo,
almeno secondo la
ricostruzione
effettuata dalla Procura, erano sempre le
stesse.
Gli indagati avvicinavano le potenziali vittime
con
una scusa banale per
poi
proporre imbarchi, facilitazioni nell’o tt e ni me nt o
di
diplomi nautici, certificati e quant’altro in cambio di
somme
di denaro. Per ottenere queste cifre, di volta in
volta
i partecipanti alla truffa si fingevano alti ufficiali
della
Capitaneria, in un caso il neo comandante di
Terracina,
o comandanti di
compagnie
di navigazione a
livello
internazionale, operanti soprattutto nel campo
crocieristico.
Una volta agganciate, le vittime venivano quindi pressate, spesso
con
insistenti telefonate, a
versare
il denaro. Ogni volta inventando una nuova
scusa
riguardo costi aggiuntivi che le vittime
avrebbero
dovuto sostenere
per
il buon esito del percorso lavorativo falsamente
proposto
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