“Otto giorni è il tempo del dolore e della meraviglia. Per questo facevamo passare una settimana fra un omicidio e l’altro”. Così Carmine Schiavone, ex boss dei casalesie collaboratore di giustizia dal 1993. Ma se lo scalpore per certe notizie ha vita breve, al contrario i danni ambientali dello sversamento di rifiuti tossici nelle cave dellaCampania hanno una durata lunghissima. Fino a quando non vengono rimossi. E qui casca l’asino. “Io certe cose, come i luoghi esatti dove è interrata l’immondizia più pericolosa, le ho dette nel 1997 durante le audizioni in commissione Ecomafie – racconta Schiavone – Sapete cosa mi dissero? Che era impossibile bonificare perchéservivano troppi soldi”. A distanza di quasi vent’anni, quelle parole oggi sono ancoracoperte dal segreto, mentre milioni di persone rischiano di ammalarsi gravemente. Secondo l’ex capoclan, nelle terre dell’agro di Caserta sarebbero finite anche “cassette di piombo con materiale nucleare”, arrivate dal nord Europa. “Andammo a fare un sopralluogo a Casale – ricorda – Siamo dovuti scappare via per il livello di radioattività.
Le
parole di Carmine
Schiavone –
che accusa direttamente lo Stato sulle mancate
bonifiche dei siti inquinati dai veleni di Gomorra –
hanno solide basi, riscontrabili in tantissimi atti giudiziari. Buona
parte degli elementi che confermano la sua ricostruzione del traffico
illecito di rifiuti sono contenuti negli atti di un processo in corso
in questi mesi, condotto dal pm della Dda di NapoliAlessandro
Milita.
Imputati sono alcuni esponenti del gruppo di Francesco
Bidognetti,
alias Cicciotto ‘e mezzanotte: nomi che ricorrono nella
testimonianza di Schiavone, come Gaetano
Cercie Cipriano
Chianese.
L’accusa è pesante, disastro
ambientale.
Il
complesso
e difficile percorso della giustizia per cercare di scrivere una
verità definitiva sui traffici
di
materiale contaminato – e forse radioattivo –
dal nord al sud ha subito, negli anni, moltissimi ostacoli. La prima
inchiesta della procura napoletana, conosciuta come “Adelphi”,
non riuscì ad arrivare alle condanne degli imprenditori che avevano
utilizzato i servizi del clan dei casalesi per smaltire illegalmente
migliaia di tonnellate di scorie pericolose. La figura di Cipriano
Chianese, avvocato oggi imputato nel processo per la contaminazione
delle falde
acquifere campane,
è stata indicata – insieme a Gaetano Cerci e a Francesco
Bidognetti – per la prima volta da Carmine Schiavone già
nei suoi interrogatori del 1993.
Il
Gip di Napoli Anita
Polito,
nell’ordinanza di custodia cautelare per l’indagine sul disastro
ambientale conclusasi nei mesi scorsi, ricorda nei dettagli le date
degli interrogatori del collaboratore di giustizia ex cassiere del
clan: Schiavone venne ascoltato due volte nel 1993, due volte nel
1994 e poi nel 1996. Nel suo raccolto dell’epoca “il
collaboratore riferiva in particolare, riassuntivamente, che verso la
fine degli anni 80 — a partire dal 1988 — Chianese Cipriano
(aderente ad un circolo culturale occultante una loggia
massonica cui
partecipava Cerci Gaetano), già operante per suo conto nello
smaltimento dei rifiuti, ebbe ad avvicinarsi al gruppo diSandokan (il
boss Francesco
Schiavone,
ndr) e Bidognetti Francesco, intessendo con loro rapporti di affari
per le discariche. (…) Erano state rilasciate altresì alcune
concessioni ottenute per la realizzazione di vasche ittiche, in
realtà utilizzate per l’estrazione della sabbia, poi affidate a
Cerci e riempite con rifiuti tossici”. E ancora: “Il Chianese
procedette quindi a scaricare rifiuti nelle cave di sabbia che vanno
dal Lago
Patria fino
a Mondragone (cave
prodotte dal prelievo di sabbia destinate per le costruzioni del
consorzio Con. Cav. per la superstrada
Nola-Villa Literno)”.
Tutte informazioni che, dunque, sono note da circa vent’anni. Tra
il 1995 e il 1996 la Criminalpol
di Roma –
su delega della procura napoletana – ha ripreso i verbali delle
dichiarazioni di Schiavone, effettuando una serie di sopralluoghi
nella provincia di Caserta, per cercare di individuare con precisione
i punti
di interramento dei rifiuti tossici.
Secondo il Gip di Napoli le dichiarazioni di Carmine Schiavone furono
puntualmente riscontrate: “L’esito degli accertamenti disposti
sul terriccio prelevato da alcuni dei siti individuati,
consentiva di acclarare l’effettività della destinazione a
discarica dei luoghi medesimi”.
Le
denunce del collaboratore di giustizia furono raccolte nel 1997 anche
dalla Commissione
bicamerale d’inchiesta sui rifiuti,
presieduta all’epoca da Massimo
Scalia.
Secondo il suo racconto, Schiavone consegnò alla commissione appunti
e documenti con l’indicazione delle società coinvolte, delle
targhe dei mezzi usati e dei luoghi degli smaltimenti. La
sua deposizione
risulta ancora oggi secretata e
non è possibile capire quanto realmente raccontò. Di certo quel
mondo di trafficanti descritto fin dal 1993 non appare – se non per
sommi capi – nelle relazioni finali approvate dal parlamento nel
2001. Oggi, vent’anni dopo, è giunto il momento di aprire quegli
archivi.
DA IL FATTO
QUOTIDIANO DEL 31.8.13
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