LA Procura
di Santa Maria Capua Vetere ha aperto un fascicolo d’inchiesta sulla centrale
del
Garigliano per disastro ambientale ed irregolarità in materia di sicurezza
nucleare. Tra
gli indagati
già compare un
nome: Marco
Iorio, attuale responsabile per conto della Sogin Spa della disattivazione del
sito.
Qualche giorno fa i finanzieri del Nucleo Mobile della
Guardia di
Finanza di Mondragone insieme a fisici nucleari
hanno fatto
un blitz all’interno
della
struttura dove sono rimasti per ben diciotto ore. Sono
stati
effettuati prelievi e sono
stati
portati via i registri delle
operazioni
compiute all’inter -
no della
centrale.
LA STORIA.
L’IMPIANTO
nucleare di Sessa
Aurunca
è collocato in un’a re a
alluvionale
particolarmente sismica – ai piedi del vulcano di
Roccamonfina
– tra Roma e Napoli, ubicato in un’ansa del fiume Garigliano, proprio sul
confine con il Basso Lazio. E’ una
struttura
unica al mondo, il reattore fu venduto dalla General
Eletric,
finanziata nel 1959 dalla
Banca
Mondiale (all’epoca Birs)
con
un prestito alla Cassa del
Mezzogiorno
per circa quaranta
milioni
di dollari. I lavori partono in quell’anno ma solo nel 1964
comincia
la produzione che
avrebbe
dovuto essere quarantennale. L’autorizzazione a funzionare, cioè la «licenza di
esercizio», viene concessa nel 1967.
In
quindici anni la centrale produce lo 0,3 per cento del fabbisogno nazionale,
nonostante che
dal
1976 al 1978, quanto si smette di produrre, il reattore funzioni a pieno regime.
Va detto che
nel
1975 davanti al Congresso
Americano,
tecnici della General
Eletric
dichiarano che quella
macchina
è pericolosa e offre
scarse
garanzie di sicurezza da
cui
ne è stata abbandonata la
produzione.
Nel 1981 l’Enel
chiude
l’impianto e l’11 marzo
1982
la centrale viene disattivata. Poi lo smantellamento che
non
sarà integrale. «Nel 2010 –
dichiara
la Sogin - è stato pubblicato il decreto di compatibilità
ambientale
per il rilascio incondizionato del sito. La valutazione
di
impatto ambientale prevede
che
le attività di smantellamento
non
riguardino gli edifici reattore e turbina, progettati dall’ar -
chitetto
Riccardo Morandi, dichiarati patrimonio architettonico del nostro Paese come
stabilito
dal Ministero per i Beni
e
le Attività Culturali».
LE IPOTESI DI REATO.
DISASTRO a mbi entale, irregolarità in
materia di sicurezza nucleare (decreto legislativo 230/95). E molti
altri reati. Se possibile,
anche più gravi. Su
queste basi il sostituto
procuratore della Repubblica Giuliana
Giuliano ha aperto
presso la Procura di
Santa Maria Capua
Vetere il procedimento
penale 9664/12. Tra
gli indagati già compare un nome e altri
probabilmente se ne
aggiungeranno: è
quello di Marco Iorio,
attuale responsabile
per conto della Sogin
Spa della disattivazione della Centrale del
Garigliano. Qualche
giorno fa la struttura di
Sessa Aurunca è stata
off limits in entrata e
uscita per quasi diciotto ore: dal primo
mattino e fino alle otto di
sera. All’interno, su
disposizione del sostituto procuratore
Giuliana Giuliano, acquisiscono dati, compion o p r e l i e v i ,
sequestrano registri i
finanzieri del Nucleo
Mobile della Guardia
di Finanza di Mondragone comandati dal
capitano Marco Biondi insieme a un tenente
colonnello, nonché fisico nucleare, in forza
al Cisam - centro interforze studi
applicazioni militari - di Pisa, a
un fisico dell’Università Federico II di
Napoli in qualità di
consulente e al nucleo sommozzatori della
Guardia di Finanza di Napoli. Quello che
emerge e viene sequestrato è
allarmante in un crescendo di
tragicità che il castelfortese
Marcantonio Tibaldi a suo
tempo già aveva intuito. Prima
di ogni altra cosa viene appurato che i
controlli dell’Arpa
Campania, che dovrebbero essere semestrali,
in realtà non
vengono effettuati da sette anni. Inoltre, il
registro degli
scarichi liquidi e aeriformi è
compilato a matita (!). Mentre
i finanzieri agiscono negli uffici,
all’esterno, nella zona che
il piano di bonifica denomina
Trincee, in un’area a cielo
aperto interna alla centrale e di
circa novecento metri quadra-
ti, dopo aver indossato tute
anti radiazioni, si mettono al
lavoro i tecnici dell’esercito. Il
contatore Geiger ticchetta
all’impazzata che pare dover
esplodere a mano a mano che
gli ingegneri si avvicinano
all’area. All’interno viene appurato che a
una profondità tra
i venti e i cinquanta centimetri,
praticamente a contatto con la
falda acquifera, sono stati sotterrati
rifiuti in attività: dalla
tuta al materiale tecnico e
chissà cosa altro si scoprirà
scavando e se qualcuno avrà la
forza di dare l’ordine di farlo.
Nessuno può avvicinarsi,
nemmeno gli ingegneri possono sostare a lungo
nell’area:
senza protezioni troverebbero
la morte in pochi minuti. E non
c’è solo questo. Gli scoli dei
reattori, i primi a dover essere
smantellati dopo la disattivazione della
centrale, sono invece ancora lì a contatto con il
fiume Garigliano. I prelievi
effettuati grazie al lavoro del
nucleo sommozzatori della
Guardia di Finanza di Napoli
attualmente sono a Pisa dove i
militari del Cisam li stanno
analizzando. I risultati, viste le
premesse, potrebbero essere
drammatici.
CHI E’
PREPOSTO A SMANTELLARE LA CENTRALE.
LA
Sogin opera all’interno del sito di Sessa Aurunca
dal
1999. Il materiale ufficiale da mettere in sicurezza
ammonta
a circa 2600 metri cubi raccolti in quasi 3500
fusti,
oltre a 1200 metri cubi di rifiuti, sulla carta a
bassa
radioattività, chiusi in buste di plastica e sepolti
attorno
alla centrale. Nel 2006, governo Berlusconi,
grazie
ai poteri straordinari concessi alla Sogin che
saltano
ogni controllo da parte delle amministrazioni
locali,
viene presa la decisione di costruire un deposito
per
le scorie: il D1. Secondo il progetto qui andranno
circa
1100 metri cubi di rifiuti a media attività, altri
seicento
in un altro edificio sempre interno alla
centrale.
Per altri 2100 metri cubi la situazione non è
ancora
del tutto definita. La data di fine lavori,
inizialmente
prevista per il 2016 è già stata posticipata
al
2022. Fino a oggi sono stati spesi circa 450 milioni
di
euro recuperati grazie alla voce A2 presente nella
bolletta
elettrica.
QUANDO CI SI
AMMALA.
NEL
basso Lazio si muore. Come altrove ma qui di più. Si chiama
cancro
o leucemia la malattia invisibile che colpisce le persone, gli
animali,
le piante. A Tora e Piccili, nel Parco Regionale del vulcano
di
Roccamonfina, tempo fa è stata trovata una lucertola a due teste
che
attraversava la piazza principale. Negli anni passati sono nati
e
morti altri animali con due teste o gravi malformazioni: vitelli,
agnelli
soprattutto. E la situazione non cambia, anzi peggiora. In
molti
lo hanno denunciato e continuano a farlo ma per quanto,
numeri
e dati alla mano, alzino la voce, poco o per nulla sono
ascoltati.
Nei comuni di Formia, Minturno, Sessa Aurunca, Santi
Cosma
e Damiano, Roccamonfina e Castelforte, tra il 1971 e il 1980
nascono
novanta neonati malformati. Nel 1984 l’Usl Latina 6 di
Formia
ne registra il 19,57 per cento. Agli ospedali di Minturno e
Gaeta
sono numerosi i bambini nati anancefalici, senza encefalo.
Si
verifica anche un caso di ciclopismo, un bambino nato con un
unico
occhio. Dal 1972 e fino al 1978 l’incidenza di tumori e
leucemie
nell’area del Garigliano – le province di Frosinone e
Latina
e 1700 chilometri quadrati di costa balneabile dal Volturno
al
Circeo – è del 44 per cento contro una media nazionale del 7 per
cento
(21,63% in tutta la provincia di Latina dove insiste anche la
centrale
di Borgo Sabotino). «A San Castrese, in provincia di
Caserta
–lo racconta l’eroico avvocato Marcantonio Tibaldi in due
libri
ricavati attraverso l’osservazione diretta e mai smentiti - i casi
di
mortalità per tumore passano dall’1,8% del ventennio ‘44-’64
all’11,4%
di quindici anni più tardi. A Santi Cosma e Damiano si
è
passati nello stesso periodo dal 6,8% al 16%. A Minturno dal
5,6%
al 10,6%. A Formia infine dal 7,21% all’11,41%». Un’inda -
gine
dell’Enea del 1980 rileva contaminazione radioattiva anche in
una
vasta porzione di mare. Cobalto 60 e cesio 137 rispetto agli
anni
’70 hanno raddoppiato i valori. Ancora oggi i papà e le
mamme
in attesa di un bambino/a non lo raccontano a parenti e
amici
fino a quando la gestazione non è del tutto evidente. Il timore
che
mostrarsi felici possa attirare sciagure, da queste parti fa
rinunciare
anche alla condivisione della gioia.
I RAPPORTI
DELLA CENTRALE CON IL FIUME E I DISASTRI ANNUNCIATI.
SIN dalla sua nascita quello che crea
maggiori difficoltà alla centrale, prima
nell’edificazione e poi nel
funzionamento, è il fiume
Garigliano nei pressi di cui
sorge: in particolare le
esondazioni stante che la
zona è di fatto alluvionale.
Nel rapporto del Cnen (Disp 80 (3) Bozza)
«Centrale
del Garigliano situazione
30 novembre 1980» è riportato l’elenco dei
principali inconvenienti e incidenti verificatesi. Nel 1970
l’acqua del fiume va a spegnere i motori
elettrici
principale e secondario che
regolano il sistema di raffreddamento. E con
il terzo
di riserva che non parte, il
disastro ovvero una fusione delle barre che
alimentano la centrale, come accaduto in Giappone recentemente, viene
scongiurato
grazie al recupero di energia dalle linee
esterne. Altri incidenti, quattro, negli
anni successivi: nel 1972,
1976 e 1978, che porta alla
chiusura, i più gravi. Nel
novembre 1980 il Garigliano esonda ancora. La
centrale ha già dismesso la
produzione ma le barre
all’interno sono ancora attive e vanno
comunque raffreddate. Cosa succede lo
scrive il 19 novembre 1980
l’ingegner Sennis del Cnen
(vecchia Enea) in un telegramma all’allora
sindaco
di Castelforte: «Nei giorni
precedenti presso la centrale elettronucleare
del
Garigliano a seguito abbondanti piogge il
livello
di falda acquifera della zona si era
notevolmente alzato. In conseguenza si
erano avute infiltrazioni di
acqua in un sotterraneo di
un edificio di centrale contenente le vasche
che ospitano i contenitori di stoccaggio delle resine provenienti dal sistema di
purificazione delle acque
del reattore della centrale.
Tali infiltrazioni di acqua
avevano riportato in soluzione la
contaminazione
radioattiva esistente sulla
superficie interna delle vasche. Al cessare
del maltempo e con il conseguente
abbassamento della falda,
acqua infiltratasi nella vasca è defluita
verso falda e
probabilmente in parte verso il fiume
trascinando con
sé parte della contaminazione». Quel
materiale è
Cesio 137 ma nei giorni
successivi vengono rinvenuti anche Cesio 134
e
Cobalto 60. Venticinque
bufale che avevano pascolato nelle zone
alluvionate
muoiono pochi giorni dopo
e così numerosissimi pesci
alla foce del fiume. Il direttore della
centrale finisce
sotto inchiesta: è ritenuto
colpevole ma la pena è
prescritta per amnistia.
L’Istituto Superiore di Sanità scrive il 4
agosto 1984
che «Per una serie di ragioni descritte in
notevole dettaglio nella letteratura tecnica, si sono prodotti fenomeni di
accumulo del
Cobalto e del Cesio, scaricati nel fiume
Garigliano,
a ll ’interno del golfo di
Gaeta. Ciò è indubbiamente legato
all’insediamento
della centrale». Il 17 marzo
dell’anno scorso il Garigliano ha rotto
ancora gli
a rg i n i .
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