ROMOLO
Falso, Annamaria Colavecchia e Sebastiano Di Meo dopo
essere
stati assolti dalla pesante accusa di estorsione ora saranno anche
risarciti
per l’ingiusta detenzione
che
hanno patito. La Corte d’Appel -
lo
di Roma ha infatti riconosciuto, attraverso un’or d inanza, il
risarcimento
del
danno
per ingiusta
detenzione.
I giudici del Tribunale
hanno
infatti riconosciuto 86mia euro: 30mila euro a Di
Meo,
e 28mila agli
altri
due. Il primo
ha
avuto di più perchè ha trascorso più
giorni
in carcere o
domiciliari.
I
tre, difesi dagli
avvocati
Enzo Biasillo e Pasquale
Cardillo
Cupo,
vennero
assolti nel
2011
assolti dal
collegio
del tribunale di Latina, presieduto da Raffale
Toselli,
con i giudici a latere Dentato e
De
Robbio, dal reato di concorso continuato in estorsione. All’e si to
dell’istruttoria
dibattimentale emerse che la versione
della
presunta vittima faceva acqua da tutte le parti.
vittima
era tutta un’altra realtà dei
fatti.
Disse che aveva conosciuto
Romolo
Falso per dei lavori che gli
aveva
fatto in casa - disse all’uomo
che
aveva bisogno di 1000 euro.
L’imputato
gli disse che avrebbe
potuto
farglieli avere attraverso una
finanziaria
purché gli avesse dato i
suoi
documenti. Dopo qualche tempo lo chiamò per telefono e la parte
offesa,
andò a firmare un contratto di
finanziamento
in un bar. Allorchè
Falso
gli comunicò, dopo circa un
mesetto,
che l’assegno era pronto,
egli
si recò assieme ai tre imputati, lo
prese
e lo pose all’incasso aprendo
un
conto corrente a lui intestato. Da
quel
momento Falso e la moglie gli
chiesero
14.860 euro in quanto ritenevano essere loro. Ciò fino al 5
giugno,
quando la parte offesa, G.F..
prelevò
in banca la somma per consegnarla ai tre: i carabinieri che
aveano
organizzato un servizio, intervennero al momento della consegna ed arrestarono
i tre. Questi hanno fornito una diversa versione in
particolare
Di Meo aveva bisogno di
denaro
liquido; non potendo stipulare un finanziamento si rivolse a
Falso,
suo amico. Questi gli disse
che
non poteva farlo ma gli promise
che
avrebbe comunque trovato una
persona,
cosa che è avvenuta. Secondo la versione degli imputati la
presunta
vittima era ben consapevole dell’artefizio e l’accordo era che
comunque
gli avrebbero riconosciuto un compenso, e la loro condotta
successiva
era diretta ad ottenere
quello
che ritenevano essere di loro
spettanza
in base agli accordi con
G.F..
Dunque per il Collegio la parte
offesa,
che era a conoscenza della
natura
della finanziaria, è stata giudicata inattendibile, generica e contraddittoria.
Il Collegio nella sentenza di assoluzione spiega «vuoi perché il narrato in
dibattimento non è
credibile
nè attendibile in quanto
inverosimile,
non specifico e neanche riscontrato, vuoi pur dando credito alle denunce in
atti, che vi
escludono
la prova della antigiuridicità penale della condotta degli imputati, gli
elementi costitutivi del
delitto
ascritto non sono provati.
Dunque
si impone l’a ss ol uz io ne
perché
il fatto non sussiste».
DA
LATINA OGGI DEL 18.6.13
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