SE
l’obiettivo del governo sul
fronte
del taglio delle province
voleva
essere quello di fare
chiarezza
rispetto al caos delle
ultime
settimane, forse occorrerà aspettare ancora qualche
giorno,
e attendere giovedì l’ar -
rivo
in commissione del Decreto legge che contiene l’emenda -
mento
che sta facendo tremare
decine
di amministrazioni provinciali in tutta Italia. Il Consiglio dei ministri di
ieri pomeriggio, infatti, che ha avuto il compito di definire i criteri per il
riordino
delle province, ha finito per ingarbugliare ancora di
più
le idee. Il caso pontino è
infatti
emblematico della natura perversa cui poggia il ragionamento alla base della
volontà
dell’esecutivo
di sfoltire gli enti
intermedi
tra Comuni e Regioni. Del resto, nel testo messo
ieri
nero su bianco è spiegato a
chiare
lettere come, per sopravvivere alla «mattanza», una
Provincia
dovrà avere almeno
350mila
abitanti ed estendersi
su
una superficie territoriale
non
inferiore ai 2.500 chilometri quadrati (non più 3mila, dunque, come previsto
originariamente dalla norma, ndr). Una
ulteriore
modifica ai parametri
che
non risparmierebbe tuttavia
l’amministrazione
di via Costa.
La
cui estensione risulta essere
di
poco inferiore ai 2.300 km
quadrati.
Insomma, per la Provincia di Latina non ci sarebbero altra strada se non quella
che
passa
per la chiusura e, da qui,
per
il definitivo - e maldigerito
-
accorpamento con la «cugina»
Provincia
di Frosinone. Ed è
proprio
qui che viene il bello. O
l’assurdo,
dipende dai punti di
vista.
Perché tra i parametri inseriti nelle modifiche al testo
apportate
dal Cdm di ieri, c’è
anche
quella che prevede che in
caso
di accorpamento tra due o
più
province, il capoluogo a
sopravvivere
è quello più popoloso. Nel caso di un matrimonio
pontino-ciociaro,
quindi, ad
avere
la meglio sarebbe Latina.
A
questo punto bisogna immaginare una specie di maxi provincia di Frosinone
composta
dai
comuni dei due territori e il
cui
capoluogo, per una singolare ironia della sorte, sarebbe
proprio
Latina. Senza contare
Nonostante
la
rettifica al ribasso
del
requisito
legato
all’estensione
territoriale,
l’amministrazione
di
Cusani
non
sarà risparmiata
che
l’eventuale Consiglio provinciale nato dalla fusione di
questi
due territorio, sarebbe
totalmente
sbilanciato a favore
della
provincia ciociaria. Realtà
sì
con più comuni, ma con una
densità
di popolazione di gran
lunga
inferiore a quella pontina.
Da
qui la battaglia del Partito
democratico
che con il vicecapogruppo Pd al Consiglio regionale, Claudio Moscardelli,
sta
portando avanti da giorni
ogni
forma di contrasto a questa
proposta
di legge del governo
che
minaccia seriamente di
spazzare
via l’identità di quella
che
ad oggi è la seconda provincia del Lazio. «Lunedì, con
qualche
giorno d’anticipo rispetto alla chiusura del testo ed
all’avvio
del suo naturale iter
legislativo,
sarò alla Camera
per
un incontro con il capogruppo del Pd Dario Franceschini. Con il sostegno del
gruppo
di Camera e Senato
chiederemo
al governo una ulteriore modifica ai parametri.
Perché
si scenda sotto ai 2mila
km
quadrati rispetto all’esten -
sione
territoriale o siano considerate salve tutte le amministrazioni delle province
con più di
500mila
abitanti». E se Moscardelli chiede una modifica al
decreto
legge in approvazione
al
governo, il presidente della
Provincia
di Latina Armando
Cusani,
dal canto suo, è pronto
a
dare battaglia. «Il criterio
d
el l’estensione territoriale va
rivisto,
la battaglia si sposta in
Parlamento»
ha tagliato corto
Cusani,
secondo il quale «ci
sono
dieci province in bilico
che
vanno preservate per evidenti ragioni legate a territori
che,
qualora venissero accorpati, diventerebbero ingestibili
per
estensione e peculiarità».
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