LE
ACQUE del Garigliano prospicienti gli scoli dei reattori
della
vecchia centrale nucleare
di
Sessa Aurunca sono inquinate da radioattività.
E’
quanto emerge, dopo due
mesi
di attesa, dalle analisi condotte dai militari del
Cisam
- Centro interforze studi applicazioni militari – di San
Piero
a Grado a Pisa
sui
prelievi effettuati a
fine
novembre del nucleo sommozzatori
della
Guardia di Finanza di Napoli. La
settimana
scorsa, infatti, i risultati delle
indagini
sono stati
consegnati
al sostituto
procuratore
della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere Giuliana Giuliano che, a
fine
novembre, aveva
aperto
il procedimento penale 9664/12 per
irregolarità
in materia
di
sicurezza nucleare
(decreto
legislativo
230/95).
Da quanto si
apprende,
la radioattività riscontrata non
sarebbe
elevata, seppure c’è da intendersi
su
cosa questo rappresenti, ma di fatto ora l’inquina -
mento
è palesato anche dalle
analisi
e la Sogin, che sarebbe
già
stata informata dei risultati,
si
starebbe già attivando per avviare una bonifica d’u rg e n z a
dopo
che sei mesi fa l’aria di
rispetto
di fronte agli scoli dei
reattori
già era stata ampliata
andando
a coprire quasi l’intero
specchio
acqueo prospiciente.
Al
momento tra gli indagati
compare
un solo nome ovvero
quello
di Marco Iorio, attuale
responsabile
per conto della Sogin Spa della disattivazione della Centrale del Garigliano.
L’iscrizione
nel registro degli
indagati
nasce in seguito all’ac -
certamento
effettuato dai finanzieri del Nucleo Mobile della
Guardia
di Finanza di Mondragone comandati dal capitano
Marco
Biondi che, a fine novembre, a seguito di un blitz
durato
quasi diciotto ore, avevano appurato che i controlli
dell’Arpa
Campania all’interno
del
sito dismesso, che dovevano
essere
semestrali, in realtà non
venivano
effettuati da sette anni.
Inoltre,
nell’ambito delle stesse
verifiche,
veniva riscontrato che
il
registro degli scarichi liquidi e
aeriformi
era compilato a matita. Al di là poi dei controlli
strettamente
amministrativi, i finanzieri avevano verificato che
nella
zona che il piano di bonifica denomina Trincee, in
un’area
a cielo aperto interna
alla
centrale e di circa novecento
metri
quadrati poi finita sotto
sequestro,
a una profondità tra i
venti
e i cinquanta centimetri,
praticamente
a contatto con la
falda
acquifera, giacevano sotterrati rifiuti in attività: dalla tuta
al
materiale tecnico.
Tu
t t ’ora l’area viene monitorata dai finanzieri che almeno
ogni
tre giorni accedono all’in -
terno
del sito nucleare per controllare che i sigilli apposti a
novembre
siano rispettati. Resta
il
fatto che il pericolo che
tutt’ora
la centrale rappresenta
per
le popolazioni confinanti resta costante ed evidente al di là
delle
frasi di circostanza tese a
rasserenare
la situazione. Il termine per le operazioni di decommissioning è atteso per il
2022
dopo un’iniziale ottimistica previsione che parlava del
2016.
CESIO
137 ma anche Cesio
134
e Cobalto 60. Sono questi i materiali radioattivi che
l’Istituto
Superiore di Sanità
già
in una relazione del 4
agosto
1984, segnalava essere presenti e sedimentati nel
Golfo
di Gaeta: «Per una
serie
di ragioni descritte in
notevole
dettaglio nella letteratura tecnica, si sono prodotti fenomeni di accumulo
del
Cobalto e del Cesio, scaricati nel fiume Garigliano,
all’interno
del golfo di Gaeta. Ciò è indubbiamente legato all’insediamento della
centrale».
E così anche
u
n’indagine dell’Enea del
1980
che ugualmente rilevò
contaminazione
radioattiva
in
una vasta porzione di mare. Un accumulo trentennale
e
che, stando alle ultime analisi condotte dal Cisam di
San
Piero a Grado, non si è
mai
interrotto, di fatto continuando a inquinare le acque
del
golfo. Bassa o alta che
sia
la radioattività riscontrata, infatti, l’ambiente marino
allo
stato risulta inquinato e
non
è peregrino pensare che,
preso
atto della situazione, la
Procura
di Santa Maria Capua Vetere, dopo l’iniziale
solo
reato di irregolarità in
materia
di sicurezza nucleare (decreto legislativo
230/95),
possa ora decidere
di
procedere anche per disastro ambientale. Un reato
questo,
che aprirebbe uno
scenario
nuovo e che metterebbe sul banco degli accusati anche i vari istituti che in
questi
anni si sono succeduti
nei
controlli, ultimo l’Ispra
ovvero
l’Istituto superiore
per
la protezione e la ricerca
ambientale.
Nato con decreto legge del 2008 e con
l’obiettivo
di razionalizzare
l'attività
svolta da tre precedenti organismi così da assicurare maggiore efficacia alla protezione
ambientale anc h e n e l l ' o t t i c
a d e l
contenimento
della spesa
pubblica,
oggi un ente vigilato dal Ministero dell'Ambiente e per la Tutela del
Territorio
e del Mare il cui
direttore
è Bernardo de Bernardinis, 64 anni, professore
di
ingegneria idraulica, nominato dal Consiglio dei Ministri nell’ottobre del 2010
e
condannato
a sei anni con
sentenza
in primo grado di
giudizio
il 22 ottobre 2012
dal
Tribunale de L’Aquila
per
omicidio colposo plurimo e lesioni perché componente della commissione
grandi
rischi che si occupò
del
terremoto abruzzese del
6
aprile 2009. A onor del
vero,
a seguito della condanna de Bernardinis aveva offerto le proprie dimissioni
ma
queste, il 24 ottobre scorso, gli erano state respinte
direttamente
dal ministro
dell'Ambiente
Corrado Clini
che
gli aveva riconfermato la
fi
d u c i a .
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