Siamo
seduti su un cimitero
di
veleni e materiali radioattivi, non è una novità, ma
puntualmente
arriva qualcuno a
ricordarcelo.
L’ultimo in ordine di
tempo
è l’ex collaboratore di giustizia Carmine Schiavone, a suo
tempo
boss del clan dei Casalesi,
uno
che della provincia pontina ha
parlato
molte volte ai magistrati
dell’Antimafia
e nelle Commissioni parlamentari d’inchiesta che
si
sono occupate del grande business dei rifiuti tossici.
Definitivamente
cessato il periodo della sua collaborazione, dopo
venti
lunghi anni di protezione,
Carmine
Schiavone si è lasciato
andare
nei giorni scorsi in una
lunga
intervista rilasciata ai microfoni di Sky Tg 24.
«In
provincia di Latina moriranno in molti di tumore - ha voluto
sottolineare
l’ex pentito raccontando degli anni in cui i camion
carichi
di veleni partivano dalla
Campania
diretti al di là del Garigliano, in provincia di Latina, per
depositare
i loro carichi mortali -
Ai
magistrati ho perfino dato gli
appunti
su cui annotavo i numeri
di
targa degli automezzi che andavano a scaricare fusti tossici a
Latina
e dintorni. In più di qualche
occasione
ho accompagnato personalmente i camionisti fino a
destinazione,
e sono stato testimone di cose truculente, come quando scaricavamo
dentro enormi
fosse
scavate poche ore prima del
nostro
arrivo montagne di bidoni
sigillati
col piombo e contenenti
anche
sostanze radioattive, scarto
di
lavorazioni di impianti molto
sofisticati
e pericolosi. Quello che
oggi
ricordo con raccapriccio è
che
quei materiali venivano scaricati senza alcun tipo di precauzione: si
alzavano i cassoni dei camion e i fusti rotolavano giù uno
su
ll’altro e spesso si aprivano,
dando
origine a nuvole di sostanze
micidiali.
Mentre riprendevamo la
strada
del ritorno, qualcuno era già
intento
a ricoprire di terra quei
cimiteri
di veleni».
I
controlli? Schiavone ha una
spiegazione
anche per quelle
omissioni.
«Tenevamo tutti in pugno, la nostra forza erano i soldi e
con
quelli pagavamo anche il silenzio delle istituzioni, nessuna
esclusa».
Erano
gli anni ‘80 e i primi anni
‘90,
i referenti dei Casalesi,
all’epoca
già molto attivi sul territorio pontino, individuavano i terreni e
soprattutto i proprietari disposti ad ospitare nei loro campi
qualsiasi
genere di materiale in
cambio
di laute ricompense. Succedeva tutto di notte, lontano da
occhi
indiscreti, e soltanto di rado
qualche
investigatore riusciva a
raccogliere
testimonianze utili per
l’individuazione
di qualche cimitero di rifiuti. Accadde ad Aprilia
nei
primi mesi del 1989, quando i
carabinieri
scovarono oltre duemila fusti di sostanze tossiche e
cancerogene
sepolti in una vecchia cava di pozzolana in località
La
Gogna. Una bomba ecologica
di
proporzioni enormi, composta
da
scarti di lavorazioni chimiche,
sostanze
che l’allora Ufficio di
Igiene
e Profilassi di Latina classificò come pericolosissime.
Il
proprietario di quella cava dismessa risultò essere un uomo
originario
del Vietnam e residente
in
Abruzzo; fu interrogato più volte e a lungo dai carabinieri e dal
magistrato,
ma non fu mai disposto ad aprire bocca. Si limitò a dire
che
tutto era avvenuto a sua insaputa, essendo lui residente a centinaia
di chilometri dalla sua proprietà. «Depositi» come quelli ce
ne
sono a decine in provincia di
Latina,
e uno di questi, secondo
diverse
dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia della Campania,
Carmine Schiavone compreso, dovrebbe essere anche la
vecchia
discarica dei rifiuti di via
Monfalcone,
a Borgo Montello.
La
storia dei fusti sotterrati nel
vecchio
invaso denominato S-0 è
roba
dell’altro ieri, i lavori di scavo sono stati ultimati nel 2012, ma
senza
dare alcun risultato né offrire conferme ai resoconti dei pentiti.
Eppure tracce dell’eredità dei
Casalesi,
a Montello, sono rimaste: sono esponenti delle famiglie
camorriste
ancora operative in
Campania,
e con loro gli atti di
proprietà
di grandi appezzamenti
di
terreno a ridosso delle discariche di via Monfalcone.
DA LATINA OGGI DEL 25.8.13
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